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Intensivi tra Inferno e Paradiso

by Simona Chiusolo

Quali ricercatori d’ispirazione i danzatori vivono nel movimento e del movimento. Per ragioni di precarietà molto spesso, ma anche per genuina fame di novità, di scambi. Così anche la sottoscritta nella sua nomadica richiesta di bellezza decide di iniziare il nuovo anno con un’esperienza non usuale. Si tratta di quattro settimane d’improvvisazione presso il Tic Tac Centre di David Zambrano, in Bruxelles. Inedita mistura di persone e stimoli protratta su di una durata non convenzionale che inevitabilmente incide e coincide con la pratica. Il luogo di per sé accoglie le persone in uno spazio aperto, nel vero senso del termine. Le luci al neon bianco manifestano la necessità di non creare una drammaturgia esterna a quella del corpo, il bianco spoglia gli invitati annullando qualsiasi possibile nascondiglio, appiglio o referente extra-corporeo nella presenza e nella creazione.

L’habitat si abbiglia dei colori di ciascun partecipante, della sua storia corporea e delle interpretazioni dei tasks che man mano verranno trasmessi.

Per chi non conoscesse Zambrano lo riconoscereste comunque, eccentricamente in cappelli unici e colori senza pastelli. In vesti di design proprio o altrui, mentre spontaneamente e naturalmente invita gli altri a fare. Artista del movimento, dal viaggio al corpo e i viaggi del corpo, inizia dal Venezuala per attraversare più di 15 Paesi, facendo dell’improvvisazione la pratica di ricerca di spunti compositivi.

Su cosa si lavora? Sull’improvvisazione ovviamente e in primo luogo sulla declinazione personale della stessa. Da un punto di vista concettuale: “Cosa è per te l’improvvisazione una lingua o una pratica?”, ma soprattutto con tutto il corpo. A iniziare il passing through, una delle pratiche forse più rinomate che caratterizzano la ricerca di Zambrano, essere dentro e fuori nello spazio perché movimento, essere un corpo che volontariamente dà forma all’ambiente circostante. “Come posso muovere la stanza?”. Una pratica di ricerca libera, senza codificazione di vocabolario, giudata dall’idea di raccogliere e ridonare in relazione.

L’esperienza è la chiave, maturarne di nuova e contemporaneamente permettere a quel che si sa di emergere nell’attimo. Si pratica l’attenzione perché osservare e ascoltare è già fare, oltre a essere ciò che intesse il filo della memoria. Si sceglie la reinterpretazione di quel che si vede. La fuoriuscita dall’usuale personaggio che normalmente si presenta sulla scena.

A partire dall’incipit i parametri donati prendono senso in una narrazione che lascia spazio al re-fraising. Vivere l’opposizione come possibilità di trovare l’unità. L’opposizione, come contrazione o inferno da ricreare nello spazio, nella composizione istantanea in duo o in gruppo. Fino ad essere disciolta nella saggezza, espansione o il presunto paradiso. Parafrasando l’appena detto, si tratta di alcuni spunti donati per improvvisare. Come attraversare gli estremi per ampliare la gamma di movimento, emozioni e ovviamente le interpretazioni dello stesso?

Quel che stupisce è la libertà. Cadono infatti quelle restrizioni che facilmente si ritrovano in contesti di studio, tra tecnica, richieste formali o di stile. Divertimenti in scena per cercare il proprio cammino all’interno di un contesto abbastanza aperto da permettere alla diversità di essere, di contrastare/collidere, ed eventualmente ritrovarsi.

Infine, i Crude Saturday atti performativi senza pretesa di mise en scène cui si accede semplicemente con la propria idea, possibilità di condivisione con un pubblico non pagante esperto o meno. Un atto di liberazione finale dalle possibili restrizioni di coreografia, marketing e prodotti inscatolati.

Per chi ancora cerca la bellezza, tra inferno e paradiso, quindi, altamente suggerito.

 

 

 

 

 

 

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