Esistono le tribute band, e poi ci sono loro, i Pink Floyd Legend, che al loro nome aggiungono una parola importante: “Experience”. Ed è questa parola che fa la differenza, che definisce ciò che va oltre il tributo. Basta guardare il pubblico che ieri sera ha decretato il sold out al Teatro Augusteo di Napoli per il concerto della formazione romana, per capirlo: i “floydiani” sono difficili da conquistare, a ragion veduta, perchè Gilmour e soci hanno scritto la storia del rock, l’hanno fatto esplorando diversi mondi, la psichedelia prima, la critica sociale e politica poi, il tutto passando attraverso pagine di musica immortale, scolpite nella memoria collettiva, anche di chi non è fan, o appassionato, basti pensare alla vecchia sigla di Dribbling, programma sportivo in onda sulla Rai, ovvero “One of These Days”. I Pink Floyd, volenti o nolenti, sono passati nella vita di tutti, almeno una volta.
Ci sono i nonni con i nipoti, gli irriducibili con maglie e felpe dei Pink Floyd, c’è la generazione “di mezzo”, i quarantenni, troppo giovani per i tempi d’oro ma non troppo per conoscere a memoria il repertorio. E per fortuna, anche tanti ragazzi sotto i venti anni che hanno assistito allo spettacolo in religioso silenzio, quasi rispettando un rituale sacro.
La scaletta dello spettacolo si snoda in tre momenti: un warm up con il repertorio classico floydiano che si apre con “Shine On You Crazy Diamond”, “Time”, “Money” con momenti di altissima tensione emotiva su “Wish You Were Here” e sull’intensa “Mother”. Il tempo di cambiare palco per far entrare il coro, gli ottoni, il violoncello: anche questo è rock, le contaminazioni tra il linguaggio aulico per antonomasia e quello immediato degli effetti e delle distorsioni che si armonizzano perfettamente, esempio calzante per i messaggi di pace sulle note di “The Final Cut” e per il sentito omaggio a Richard Wright in “Summer ’68”, brano ispirato dalle composizioni di Bela Bartok, a lui particolarmente caro.
Il cuore dello spettacolo è tratto dallo stesso album, Atom Heart Mother del 1970, con la suite composta dai Pink Floyd insieme a Ron Geesin, con la produzione di Alan Parsons, storico ingegnere del suono della band.
La suite è una composizione tipica della musica classica, un insieme di brani della stessa tonalità che vengono eseguiti in successione, in più movimenti. In Atom Heart Mother i movimenti sono sei (Father’s Shout, Breast Milky, Mother Fore, Funky Dung, Mind Your Throats Please, Remergence), 23 minuti che scivolano via, esecuzione dei Pink Floyd Legend, orchestra e coro che non lascia spazio alle incertezze.
La chiusura del concerto è quella a cui la fanbase dei PFL sono abituati ed affezionati, con Comfortably Numb che arriva così forte da emozionare fino alle lacrime. Il tempo di girarmi e di vedere un signore in platea asciugarsi gli occhi con un fazzolettino…lo spettacolo nello spettacolo. Run Like Hell chiude la scaletta ma i PFL regalano al pubblico napoletano il bis.
Non è semplice portare sul palco un colosso come i Pink Floyd, eppure i Legend ci riescono perchè lo fanno innanzitutto con una grande competenza, una preparazione musicale evidente, che non imita ma esegue rispettosamente i brani. La cura dei dettagli scenici e scenografici è uno dei tratti distintivi del progetto, citazioni e proposte che rappresentano un’operazione di recupero e mantenimento di una memoria storica che non può e non deve perdersi con gli anni. Insomma, un progetto che unisce spettacolo e cultura musicale.
C’è poi una grande passione, che traspare dai gesti, dalle espressioni dei musicisti, che si divertono, si emozionano, dialogano costantemente con il pubblico, perchè i primi appassionati sono loro, e questo li lega a doppio filo con il popolo floydiano di ogni età.
Come ci spiega Fabio Castaldi (il “Roger Waters” della band), i Pink Floyd attraversano i tempi e sono sempre attualissimi non soltanto per la musica immortale, ma anche per i temi trattati: la guerra, il denaro, la morte, temi importanti che però alla fine vedono sempre un filo di speranza, una visione che mai come di questi tempi appare ancorata alla realtà.
Potrete ascoltare l’intervista integrale a Fabio Castaldi su AudioLive FM, in podcast o scaricando la nostra app gratuita.
Si ringraziano per la collaborazione Marco Calafiore (Uff. Stampa Teatro Augusteo) e Fabiana Manuelli (Uff. Stampa Pink Floyd Legend)
Photo Credits Klaus Bunker