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Viento ‘e Terra: omicidi, amore, amicizia, nella difficile realtà di Napoli Est

by Valerio Boffardi

 

“Viento ‘e Terra”, romanzo d’esordio di Luigi Giampetraglia -presentato domenica 23 febbraio al teatro Nest– è un’opera particolare. Ad un primo livello di lettura, è senza dubbio un giallo: c’è un omicidio da risolvere, quello della povera Maria Nunziata, e ci sono diversi sospettati. Nel dipanarsi dell’intreccio, però, ci si rende conto che è l’interiorità dei personaggi ad emergere con maggiore rilievo. La morte di Maria, è l’occasione per far incrociare nuovamente le strade dei suoi vecchi amici. Primo fra tutti, Mimì, il poliziotto,  Tonino, ormai ridotto sulla sedia a rotelle, Raffaele, il boss del quartiere e, infine,  Nunziello, il barista.  Non manca la tensione che, in questo genere di storie, accompagna sempre il lettore, avido di scoprire chi sia l’assassino: ma, più di tutto, è la nostalgia la vera protagonista del libro. Quell’amicizia che è un ricordo sbiadito, accompagnerà Mimì nello svolgimento dell’indagine: i dialoghi tra i personaggi, saranno un’occasione preziosa, ma dolorosa, per confrontarsi col peso delle proprie scelte. Una storia non semplice, di cui parliamo con l’autore.

Il tuo libro, dal punto di vista tecnico, è un giallo, anche se racchiude molto di più. Ti sei assunto un rischio. Il lettore potrebbe pensare: un altro libro su Napoli e la camorra. Cosa risponderesti?

-… che non lo è. La camorra riveste un ruolo non irrilevante nella vicenda, ma solo perché ometterne del tutto la presenza sarebbe stato disonesto. Ho provato a raccontare una storia in cui avesse un ruolo di rilievo anche la controparte, che scompare quasi in Gomorra e affini. Ecco, quella, a mio modo di vedere, è mistificazione. Non giudico il prodotto in sé, dacché lo trovo  molto buono, anche dal punto di vista della scrittura (mi riferisco, in questo caso, alla serie). Dico solo che la scelta di ridurre a rare comparsate chi quelle realtà le combatte quotidianamente ha ingenerato la  convinzione che, in quei contesti, lo Stato sia  assente. L’idea che passa è quella che chi nasce in quei luoghi debba  rassegnarsi a una vita  assoggettata alla criminalità. Io, invece, credo che ciascuno di noi sia figlio delle proprie scelte, e che quella della realtà difficile senza via d’uscita sia, spesso, una  scusa.

I personaggi che descrivi hanno tutti dei chiaroscuri: ad esempio, Raffaele, il camorrista, sarebbe facile da disprezzare. Eppure, gli dai la voce di una persona comune, e persino lui, che di mestiere terrorizza la gente, ci appare debole e reale. Quanto è stato difficile dare vita a personaggi non stereotipati, scrivendo di un ambiente così noto come la malavita napoletana?

– Molto, molto difficile. Anche se questa ritengo sia una delle primissime cose che un autore dovrebbe imparare a fare. L’errore più comune è di prendere a modello personaggi di serie tv, film o libri. Ecco, bisogna sempre ricordarsi che la realtà è molto più variegata. Se il riscontro sui personaggi, ad oggi, è stato così positivo credo che il merito vada ascritto anche al fatto che non sono completamente personaggi di fantasia. Questo non significa che corrispondano a delle persone in particolare, ma che sono costruiti pensando a certe persone e alla loro emotività e indole.

Maria, un personaggio chiave. È dalla sua morte che prende vita la trama, eppure la sua presenza permane per tutto il racconto. Una donna libera, che sfugge a qualsiasi preconcetto sull’amore, che non vuole ingabbiarsi in una relazione monogama. Capace di amare tutti, e di non legarsi a nessuno in maniera stabile. Cosa rappresenta per te questo personaggio?

Maria è una donna libera da moralismi ipocriti, condizionamenti etici, libera nel senso più alto della parola, libera in un modo in cui io, ad esempio, non potrei mai essere. È il personaggio più lontano da me e,per questo, più difficile da rendere in maniera credibile. Maria è un’ombra dal passato, un fantasma e compare nel libro solo nei ricordi di chi le è sopravvissuto. Quando penso a lei mi procura infinita tristezza. Forse è per questo che le sono così affezionato. Avrei voluto scrivere per lei una storia diversa, ma non è andata così.

-L’intreccio poliziesco si svolge in una realtà difficile, quella di San Giovanni a Teduccio. Cosa pensi oggi di questa realtà? Ci sono cambiamenti positivi e speranze per i giovani che abitano in queste zone?

– In questo momento le periferie come San Giovanni a Teduccio, a mio modo di vedere, hanno una marcia in più, potendo contare su realtà associative importanti come Gioco, Immagine e Parole e Sepofa e luoghi di offerta culturale di qualità come il Nest e Art 33 che mettono a disposizione i propri spazi per iniziative sul territorio  (l’ultima in ordine di tempo la rassegna letteraria Libri dietro le Quinte).  Succede lo stesso anche dall’altra parte della città, nella zona per intenderci di Scampia/Secondigliano, in cui sono attivissimi quelli della Marotta&Cafiero con iniziative assolutamente lodevoli come ‘il libro sospeso’ e ‘spacciatori di libri’. Ma moltissimo per i ragazzi di quei quartieri lo ha fatto anche il grandissimo Pino Maddaloni con la sua palestra di arti marziali grazie alla quale è riuscito a strappare alla strada decine e decine di giovanissimi.

-Quando hai costruito la trama, hai pensato prima al delitto e poi ai personaggi, o il contrario?

– Viento ‘e Terra ha avuto una genesi un po’ particolare. Lo spunto iniziale mi è venuto da un episodio di cronaca in cui è stato coinvolto un poliziotto napoletano (lo stesso a cui è dedicato il libro). Una brutta storia, troppo velocemente dimenticata dagli organi di stampa. In quel momento è nato Tonino, il poliziotto costretto in sedia rotelle da un colpo di pistola sparato a bruciapelo da un uomo mai identificato. Tutto il resto è venuto dopo.

Il libro è definito un romanzo, sebbene sia molto rapido e conciso. Come mai hai scelto di svolgere l’azione in così pochi capitoli?

Il libro è tecnicamente un romanzo breve. In Inghilterra probabilmente verrebbe definito una novel. La scelta in parte è dovuta alla prima domanda che di solito viene dai non-lettori, o anche dai lettori non troppo assidui, a cui viene proposta una lettura: sì, va buo’, ma quanto è luongo? Ecco, volevo poter rispondere che il libro era breve, di facile lettura e con molti dialoghi, il che lo rende un’esperienza alla portata un po’ di tutti. Per un autore esordiente credo sia meglio puntare su una formula di questo tipo. La concorrenza è agguerrita del resto e i lettori, inutile raccontarsela, sono pochi. Io stesso faticherei a dare un’opportunità a un esordiente che si presenta con un mattone da 500 pagine.
E poi un testo breve consente di contenere il prezzo di copertina. Altro argomento certamente non trascurabile ché la seconda domanda del potenziale lettore di prima è: sì, va buo’, ma quanto costa?

Molti sviluppi narrativi del tuo romanzo nascono nei dialoghi. Durante la presentazione al Nest, è stato evidente che se ne può trarre una bella rappresentazione teatrale. Che ne pensi?

Io non scrivo per il teatro, anche se ultimamente in tanti mi hanno fatto notare che il mio modo di scrivere si adatterebbe piuttosto facilmente a questo genere di scrittura. Penso che la cosa mi farebbe piacere, ma non so se riuscirei a dare un mio contributo a un progetto di questa portata. Non amo improvvisarmi e prima dovrei lavorare parecchio sulle mie carenze formative. I ragazzi del Liceo che hanno messo in scena Viento ‘e Terra al Nest sono stati bravissimi. Ecco, dovessi pensare a una eventualità di questo tipo, credo mi affiderei a loro, dacché sposo in pieno l’idea della mia amica Mariarosaria Teatro del Nest, ossia ché la cosa migliore che possiamo fare per questi ragazzi è dar loro l’occasione di fare.

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