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ARTISTI PUGLIESI: CONVERSANDO CON SIMONA DE TULLIO

by Redazione

Così cara mi è questa bella Puglia tanto che mi sono appassionata all’argomento esposto nello scorso articolo circa lo stato della danza pugliese. Avendo dunque citato il lavoro di alcuni fra gli artisti che operano sul territorio, vorrei ora conversare con loro.

Presento in questo spazio una coreografa con la quale collaboro da circa due anni e che stimo per l’impegno con cui lavora ininterrottamente per coinvolgere artisti free lance e giovani danzatori locali. Sto parlando di Simona De Tullio.

Laureata in lingue e letterature straniere, Simona vive e lavora a Bari, fondando prima una sua realtà coreografica nel 2005, Breathing Art Company, compagnia inserita nell’Albo Regionale dello Spettacolo, e poi successivamente aprendo un centro di formazione per la danza e per lo spettacolo dal vivo, The Studio, anche sede di residenze coreografiche e maestri ospiti.

Donna di forte carisma e lungimirante determinazione, Simona prima di essere un’insegnante e una promotrice di eventi, progetti e rassegne, è una coreografa instancabile e appassionata.

Il suo stile coreografico risente degli influssi americani che hanno contribuito alla sua formazione artistica. Perfeziona, infatti, i suoi studi negli Usa in diverse compagnie, come ad esempio Trisha Brown Dance Company, partecipa ad un master di alta formazione con la compagnia Linesballet diretta da Alonzo King e Arturo Fernandez, lavora in partnership con scuole e festival internazionali, tra cui la nota collaborazione con Tanzcompagnie e TanzArt Festival di Giessen o Translate di New York, tanto per citarne alcuni.

Di lunga data è la sua presenza, in qualità di coreografa ospite, al Great Friends Dance Festival di Newport, dove ha presentato nel corso degli anni le sue creazioni, Sud e Tutte le donne di William, riproposte poi anche in Puglia in diversi e importanti teatri.

Devo ringraziare apertamente Simona se io stessa ho potuto danzare in alcune delle più suggestive location di Bari, tra le quali l’Auditorium Vallisa che ospita la sua rassegna, Ai Confini del Corpo, appuntamento coreografico che mira a sostenere la ricerca e le giovani compagnie, promossa dal 2009 dalla Regione Puglia.

Insomma una barese internazionale Simona De Tullio con la quale è sempre un piacere collaborare e che apprezzo per un’insolita apertura all’esterno.

Dico insolita perché non capita spesso che l’insegnante di una scuola o la direttrice di una compagnia, per lo meno qui al Sud, apra le porte, non solo della sua sala di danza ma del suo vissuto artistico, mettendo a disposizione le conoscenze, le risorse, i contatti che lei stessa ha creato nel corso degli anni per farsi una posizione.

Posso dire con certezza che Simona è una grande motivatrice: riconosce il talento e le competenze altrui e non solo sfrutta l’opportunità per creare una collaborazione ma sprona i vari artisti che incontra a proseguire per una propria strada.

Vorrei partire proprio da questo punto e porre a lei la prima domanda:

-Simona, conoscendoti in questi anni, ho capito che credi fortemente nell’idea di “fare rete”. Ti chiedo dunque il motivo di questo “credo” e quali siano, dal tuo punto di vista, i vantaggi derivanti dalle collaborazioni che hai provato a creare.

L’idea di fare rete è nata all’estero perché ho avuto la fortuna di iniziare, molti anni fa, delle collaborazioni con artisti e istituzioni che oggi mi supportano da partnership per progetti ed eventi. Per me è stato quasi “scontato” pensare e attuare scambi artistici a livello nazionale e internazionale.

Nel momento in cui ho deciso di fondare la mia compagnia ho capito la necessità di dovermi confrontare costantemente e questo ha fatto sì che stipulassi rapporti all’estero ma soprattutto con il territorio locale, al fine di coinvolgere artisti, scuole e insegnanti per creare una vera rete di comunicazione e scambio.

Esiste secondo te una rete fra le realtà artistiche, dedite alla formazione e allo spettacolo dal vivo, in Puglia? E cosa faresti per migliorare questo aspetto?

S: In Puglia in questi anni sono nati molti progetti fondati sull’idea di rete, soprattutto nell’ambito formativo e che sicuramente si sono rivelati una risorsa per il territorio. Però sarebbe interessante anche un lavoro di rete fra gli operatori delle compagnie e delle istituzioni: le azioni, in tal senso, sono ancora deboli e non facilitano il lavoro e la crescita del settore. Purtroppo siamo molto burocratizzati e questo pone dei paletti che ostacolano la possibilità di fare rete proprio per difficoltà legate alle famose “carte” o conti che non tornano.

Quali sono secondo te le potenzialità del sud della Puglia? E quali sono gli svantaggi di lavorare in questa terra?

S: La Puglia ha grossi margini di crescita però la frenesia dei tempi e le scadenze legate all’andare in scena fanno perdere di vista la qualità del percorso artistico, perché mancano, a mio parere, le figure professionali di supporto al mondo della danza e dello spettacolo. Spesso ci si ritrova, o per lo meno mi ritrovo, ad occuparmi della coreografa ma allo stesso tempo anche ad essere il direttore di scena o l’addetto stampa. La mancanza di risorse ingenti per le piccole e medie compagnie non aiuta; si lavora sempre con fondi annuali ed è difficile pensare ad una programmazione a lungo raggio. Lo svantaggio di essere in Puglia? Parlerei più dello svantaggio di essere al sud dove molti sorridono ancora all’idea che tu possa fare questo di mestiere e di conseguenza devi lottare affinché il tuo lavoro artistico sia riconosciuto come professione.

– Cosa ti ha spinto a restare? Hai ma pensato di abbandonare tutto ed emigrare all’estero?

S: La Breathing Art Company è nata con l’idea di creare qualcosa di nuovo proprio qui in Puglia, di azzardare e sperimentare sul territorio. Ho realizzato, con le persone che fanno parte del mio team da anni, il Premio San Nicola, un concorso di danza pensato per essere un format esclusivamente internazionale che offre possibilità concrete di tirocinio in compagnie e accademie di tutto il mondo. Abbiamo portato i danzatori, selezionati tramite audizione da scuole private, in giro per tournée, realizzando, nel nostro piccolo, i loro sogni.

Io però sono pronta a partire in qualsiasi momento perché questo è un territorio “pesante”, dove alcune logiche non sono legate all’idea della meritocrazia e questo un po’ mi infastidisce. Allora accade che vado a prendere boccate d’ossigeno all’estero e poi torno, chiudo gli occhi, come quando da piccoli si ingoiava la medicina amara, e continuo il mio lavoro.

– I tuoi spettacoli sono fortemente legati alla narrazione: da Shakespeare, alla favola, all’amore, alla terra. Quali sono i tuoi riferimenti e a chi ti ispiri?

S: La mia formazione umanistica ha fortemente influenzato la mia ispirazione coreografica.

Ricordo all’università il piacere che provavo nel perdermi nel romanticismo francese, nei romanzi sospesi di Flaubert o di quanto fossi incuriosita dagli artisti engagés contro il potere.

Adoro raccontare ogni istante che viviamo attraverso il movimento, mi incuriosisce tutto ciò che può svelare le contraddizioni dell’essere umano, nella sua complessità e bellezza.

Artisticamente mi ispiro ad Alonzo King. Ho avuto la fortuna di studiare con la sua compagnia, di andare a San Francisco nei suoi studi, di farmi lunghe chiacchierate con lui e penso sia una delle poche persone che posso chiamare il mio “Maestro”, una parola troppo usata ormai, perché per me il maestro è colui che riesce a trasmettere l’umanità e il valore della sua missione artistica: condurre i suoi allievi verso quel grande contenitore che è la vita.

Sono tanti gli eventi che, periodicamente, organizzi per i giovani coreografi. Perché pensi che sia importante creare uno spazio coreografico? Quali potrebbero essere gli strumenti per sostenere la ricerca in questo campo?

S: Ho cercato di creare qui quello che io non avevo quando studiavo: occasioni performative, residenze e festival. I miei spazi sono sempre aperti e, ahimè, sono sempre pronta ad accogliere iniziative perché ricordo i “no” ricevuti in passato e non voglio lasciare un brutto ricordo a chi incontro nel mio percorso. Non saprei dire quali possano essere degli strumenti concreti per sostenere la ricerca coreografica, perché le uniche risorse con le quali è possibile che ciò accada sono quelle economiche. Non voglio quindi dilungarmi a raccontare quanto sia difficile e complesso accadere alle risorse: bandi su bandi, domande su domande e spesso molte porte chiuse.

Come descriveresti il tuo lavoro?

S: Il mio lavoro è un viaggio altalenante tra la mia insofferenza e la mia voglia di fare. È un vagare di sensazioni, emozioni, paure, un percorso che alla fine avrà un suo senso o forse no. Del resto siamo essere mutevoli e credo che proprio io, in qualità di coreografa, abbia il dovere di portare in scena questo mutamento costante.

Con chi ti piacerebbe collaborare fra gli artisti che operano in Puglia?

S: Mi piacerebbe collaborare con Nabil Bey, cantautore palestinese trasferitosi in Puglia da tempo. Alcuni anni fa le nostre strade si sono incrociate ma senza sviluppi. Ritrovo in lui un lavoro di ricerca che mi appartiene, un’apertura al mondo interessante ma allo stesso tempo radicata nelle sue tradizioni. Chissà forse un giorno riusciremo ad incontrarci e a realizzare qualcosa di inaspettato.

 

Simona mi lascia con questo suo sogno nel cassetto e dalle sue parole percepisco una forte, già citata determinazione, ma anche tanta amarezza. Lei e tutti gli altri del suo settore stanno vivendo la drammatica depressione lavorativa causata dall’emergenza sanitaria.

Non dimentichiamoci che le scuole di danza e i teatri sono chiusi da marzo dello scorso anno.

Rivolgo il mio pensiero soprattutto alle scuole di danza e a tal proposito cito proprio Simona che, come loro portavoce, organizza incontri e riunioni via Zoom affinché si crei una rete, appunto, per un progetto di formazione comune con il quale ripartire.

Questo termine “rete”, tramutato dall’inglese “networking”, è stato il leitmotiv di questa chiacchierata. “Rete” mi fa pensare alla rete di ancoraggio, a qualcosa a cui potersi aggrappare: immagine che cade a pennello in questo momento così critico per l’arte.

Certo nel nostro piccolo, proprio come dice la stessa Simona, proviamo a mettere in atto delle azioni ma è chiaro che senza sostegno queste non hanno alcun eco e forse la ragione è di carattere economico: pochi soldi per poche persone.

Vorrei dire, in merito a questo, che di Simona apprezzo la chiarezza sulle condizioni di partecipazione ai progetti, per i quali riserva sempre una retribuzione adeguata.

Penso che sia capitato a tutti noi, danzatori o coreografi, di partecipare a progetti gratuiti sostenuti dalla frase: «non ci sono soldi». Questa è una trappola squisitamente italiana, nella quale spesso si cade per amore della danza e per il piacere sconfinato di esibirsi in scena.

Ma attenzione perché dobbiamo essere noi i primi a ribellarci allo stato delle cose.

Ritorno allora a Simona De Tullio, questa barese internazionale: come non apprezzare il suo coraggio di restare al sud e provare a fare, nel migliore dei modi possibili, qualcosa di nuovo? Del resto proprio lei mi insegna che forse è “meglio soli che mal accompagnati”, perché la questione non riguarda solo la mancanza di rete e collaborazione ma è principalmente una questione di mentalità.

Lancio dunque l’appello a chi ne avrà la forza e il coraggio, a chi decide di restare, a chi dice «proviamoci» … sta a loro imbarcarsi in questa avventura e chissà forse un giorno qualcosa cambierà?

Ai posteri l’ardua sentenza …

di MARIELLA RINALDI

 

IN FOTO

1 SIMONA DE TULLIO

2 I DANZATORI DELLA BREATHING ART COMPANY

PH: CLARISSA LAPOLLA

 

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