Home NewsClassica Il Capodanno al Musikverein: nascita di una tradizione

Il Capodanno al Musikverein: nascita di una tradizione

by Sara Amoresano

L’Austria, con la sua capitale Vienna, è da sempre considerata una delle patrie europee della musica, titolo che le deriva, tra le altre cose, dall’aver dato i natali o dall’aver ospitato, nella sua vita culturale, compositori come Haydn, Mozart, Schubert, Strauss, Mahler, Schoenberg e molti altri.
La ricca tradizione musicale viennese si è arricchita, nel corso del Novecento, di uno degli eventi più importanti e attesi a livello mondiale: il concerto di Capodanno.
Il 1 gennaio di ogni anno, nella sfarzosa sala del Musikverein, un direttore tra i più autorevoli nel panorama internazionale conduce l’orchestra dei Wiener Philharmoniker sulle note degli amati musicisti della famiglia Strauss ed i compositori a loro coevi. Il momento più atteso si colloca certamente nella seconda parte del programma, quando, dopo gli auguri al pubblico del direttore e dell’orchestra, risuonano le note di uno dei Valzer più celebri della storia della musica, An der schönen blauen Donau, seguito dalla Radetzky-Marsch, durante la quale è tradizione che il direttore si rivolga al pubblico e lo diriga nel rituale battimani a tempo di musica.
Quello che forse non tutti sanno è che il concerto affonda le sue radici in una pagina drammatica della storia austriaca: l’annessione dell’Austria alla Germania del Terzo Reich, nel marzo 1938. Un anno dopo tali avvenimenti, che avevano sconvolto gli austriaci e messo in discussione la loro identità nazionale, l’allora direttore della Filarmonica di Vienna, Clemens Krauss, per risollevare gli animi in un momento così oscuro, ebbe l’idea di organizzare un concerto di Capodanno dedicato interamente alle composizioni di Johann Strauss junior, autore ormai considerato simbolo della cultura musicale austriaca.
Era stato tale, infatti, il suo successo in vita – forse ancor più di quello del padre, pure musicista rinomato e stimato – da consentirgli di contendere il primato della popolarità all’acclamatissimo Giuseppe Verdi, il quale ebbe a scrivere del musicista viennese: «Mi spiace per il signor Strauss. I suoi entusiastici ammiratori lo divoreranno. Lo ammiro come un collega altamente dotato. Il meglio che gli si possa augurare è una buona salute. Ne avrà bisogno. Chiamarsi Strauss e avere un giubileo a Vienna, che Dio l’aiuti!».
La fama del giovane Johann giunse a tale livello che il compositore venne considerato anche in seguito, in tempi di regime nazista, uno dei massimi rappresentanti della musica “veramente tedesca”, come attestano, ad esempio, le parole scritte in un articolo del Der Stürmer, giornale antisemita: «Non vi è altra musica che è così tedesca e così popolare come quella del grande Re del valzer». E quando furono scoperte le origini ebree del compositore, si arrivò al punto di ordinare di occultare i documenti contenenti l’informazione giudicata pericolosa (un certificato di matrimonio del nonno Johann Michael Strauss) e di modificarla, affinché il divieto, sancito dalle leggi razziali, di eseguire la musica “degenerata” dei compositori ebrei non toccasse anche uno dei paladini della cultura tedesca (sorte che non fu risparmiata invece a Mendelssohn, Mahler, Schoenberg).
Così, il 31 dicembre 1939, ebbe inizio nella Sala d’Oro del Musikverein quella che sarebbe divenuta la lunga tradizione del concerto del Capodanno viennese. La scelta della sala non era casuale. Essa, infatti, conservava memoria di una lunga consuetudine con gli Strauss: proprio lì, nel 1870, i fratelli Johann, Eduard e Josef, invitati dal circolo degli Amici della Musica di Vienna, intrapresero una collaborazione che li portò ad esibirsi tutte le domeniche in quelli che sarebbero stati chiamati “Concerti-Promenade”.
L’’iniziativa del dicembre 1939 riprese nel 1941 e da allora il concerto fu diretto da Krauss fino al 1945, anno in cui, terminato il conflitto mondiale, il direttore fu accusato di atteggiamenti filo-nazisti così che gli fu vietato di comparire sulle scene, fino al 1947. La direzione per quel biennio passò così a Joseph Krips, il quale diede più spazio alle composizioni di Josef Strauss, fratello minore di Johann.
Proprio durante la direzione di Krips, nel 1946, venne introdotta per la prima volta la Radetzky-Marsch, di Johann Strauss padre, in quest’occasione eseguita come bis. La presenza all’interno dello stesso concerto delle musiche di padre e figlio può essere interpretata simbolicamente quasi come una riconciliazione nel rapporto alquanto burrascoso che i due ebbero in vita. Johann Strauss padre, infatti, disapprovava le crescenti aspirazioni musicali del figlio e si oppose con ogni forza e con tutta la propria autorità di celebrato musicista per scoraggiarlo fin dagli esordi. Da parte sua, Strauss Jr., pur avendo stima del padre e cercando di non inasprire i rapporti con lui, era deciso a determinarsi sempre più come autore, affermandosi negli ambienti musicali più in vista dell’epoca. Il divario tra i due si fece ancora più aspro a causa dei rivolgimenti che sconvolsero l’Europa intera nel 1848 e che approdarono anche nella capitale austriaca. Nel clima di tensione instauratosi con gli scontri tra reazionari e rivoluzionari, Johann Strauss figlio si schierò dalla parte di questi ultimi, componendo opere inneggianti alla libertà e alla rivoluzione. Fu così che, il giorno seguente l’incoronazione del nuovo imperatore Francesco Giuseppe, il 3 dicembre 1848, Strauss Jr. diresse in un concerto pubblico la Marsigliese, brano allora vietato perché considerato sovversivo, e fu arrestato. Anche in questo Strauss Jr. assumeva una posizione antitetica rispetto a quella del padre, il quale, pochi mesi prima, aveva celebrato la vittoria asburgica a Custoza contro l’esercito di Carlo Alberto di Savoia, componendo proprio la Marcia di Radetzky, in onore del generale vincitore della battaglia.
Dal 1948, Krauss tornò alla direzione del concerto fino alla morte, avvenuta nel 1954. Fu difficile trovare un successore che potesse portare avanti l’ormai consolidata tradizione. La scelta ricadde alla fine sul direttore viennese Willy Boskovsky. Le innovazioni che egli introdusse segnarono la storia del concerto in modo determinante: oltre ad inserire nel programma opere di compositori non appartenenti alla famiglia Strauss, il suo carattere estroverso lo portò ad instaurare con il pubblico (col quale interagiva nel corso del concerto) un rapporto gioviale e scherzoso. Tale interazione finì poi per costituire la cifra peculiare della tradizione del concerto di Capodanno, che si sarebbe consolidata fino a portare i direttori a pronunciare l’augurio di buon anno nuovo prima dell’esecuzione del An der schönen blauen Donau e a “dirigere” il pubblico nella Marcia di Radetzky.
Altre innovazioni furono introdotte negli anni successivi: il 1959 fu l’anno della prima diretta televisiva dell’evento, grazie alla quale un sempre maggior numero di Paesi poté seguire l’evento a distanza. Nel 1985, ai Paesi extraeuropei, si aggiunsero per la prima volta gli Stati Uniti, seguiti dalla Russia, che in via del tutto eccezionale consentiva che fosse trasmesso un evento proveniente dall’Occidente. Nel 1997 il Concerto approdò anche in Cina. Nel frattempo, per il pubblico dei telespettatori la manifestazione musicale si arricchiva delle immagini dei ballerini dell’Opera di Stato di Vienna, che accompagnavano con le coreografie le note dell’orchestra.
Nel 1964 il programma del concerto si ampliò con l’introduzione di brani di Eduard Strauss, Franz Schubert e Franz von Suppé. Tre anni dopo, per celebrare il centenario dalla prima esecuzione, il valzer An der schönen blauen Donau fu inserito non più come bis ma come incipit della seconda parte del programma, dove tuttora è collocato.
Boskovsky fu alla direzione del concerto fino al 1979, anno in cui dovette rinunciare al ruolo per motivi di salute. Ancora una volta, la designazione del successore non fu semplice. La scelta ricadde per la prima volta su un direttore di fama internazionale, ma non austriaco: Lorin Maazel. Questi allargò ulteriormente la scelta dei brani dando spazio a compositori come Offenbach e Berlioz, l’uno francese di adozione, il secondo di nascita. Maazel diresse il concerto fino al 1986. Dopo quest’anno fu stabilita la consuetudine di scegliere il direttore di volta in volta tra i più importanti maestri del panorama internazionale: l’evento veniva sempre più ad acquisire i connotati di una tradizione condivisa di respiro planetario e non solo limitata al territorio austriaco-tedesco. Così, sul podio del Musikverein, si sarebbero alternati direttori del calibro di Herbert von Karajan, Claudio Abbado, Carlos Kleiber, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Daniel Baremboim, Seiji Ozawa, Georges Prêtre, Nikolaus Harnoncourt.
La storia si ricongiunge ai giorni nostri: il 2021 vedrà salire sul podio Riccardo Muti, la cui collaborazione artistica con i Wiener Philharmoniker risale al 1971, anno in cui fu invitato da Karajan a dirigere l’orchestra al Festival di Salisburgo. Dopo questa collaborazione, Muti sarebbe stato chiamato nel 1993 a dirigere il concerto viennese per la prima volta.


In un’intervista rilasciata nel dicembre 2017 (alla vigilia della sua quinta edizione del concerto), Muti racconta della sua prima partecipazione al prestigioso evento e della sua iniziale ritrosia ad accettare l’incarico, convinto com’era che «questo concerto dovesse essere diretto da maestri con la musica della famiglia Strauss, Lanner, o Suppé nel sangue». Muti ricorda di aver rifiutato per settimane e di aver chiesto all’allora presidente dei Wiener Philharmoniker quale mai fosse il motivo per cui il concerto viennese avrebbe dovuto essere diretto da un napoletano. Il presidente rispose rievocando la storia delle due capitali europee, Napoli e Vienna, unite da illustri tradizioni musicali e dalla parentela tra le rispettive famiglie regnanti, dal momento che Maria Carolina, regina del Regno di Napoli, era figlia di Maria Teresa d’Austria.
I Wiener, insomma, avevano voluto fortemente Muti in quella circostanza e, in seguito al grande successo riscosso, egli fu chiamato a dirigere per il Capodanno nel 1997, nel 2000, nel 2004 e nel 2018.
Anche quest’anno, la bacchetta del direttore napoletano accompagnerà le note di Polke, Galop e Valzer. Proprio a proposito di quest’ultimo genere, Muti ha rivelato un aspetto che sulle prime potrebbe sfuggire all’ascoltatore che si lasciasse facilmente trasportare dal baldanzoso ritmo straussiano: «Il Valzer viennese […] è una combinazione di vita e di morte. Non dobbiamo dimenticare che questa musica ha una nostalgia, una malinconia, che provengono dal periodo in cui l’impero si avviava al termine […]. Non sono pieni di gioia. Forse questo è uno dei motivi per cui il primo di gennaio questa musica entra nelle case di ogni Paese del mondo e calza perfettamente con l’atmosfera del Capodanno: perché c’è una speranza nel futuro che viene, ma anche una nostalgia per il passato che se ne è andato». (Fonte: https://www.riccardomuti.com/2017/12/22/intervista-cso-soundsstories/)
Probabilmente, il 2020 che sta per lasciarci non lo guarderemo con grande nostalgia; ma auspichiamo – con speranza raddoppiata – che il nuovo anno possa restituirci quella quotidianità di cui da mesi assaporiamo, purtroppo, solo un nostalgico ricordo.

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