«La dolce vita» di Federico Fellini può definirsi, senza mezzi termini, un film eterno, con le sue scene più famose da essere entrate nell’immaginario collettivo, una fra tutte, il bagno notturno nella Fontana di Trevi tra Marcello e Sylvia, che fa di Anita Ekberg un’icona di fascino negli anni sessanta. Palma d’oro a Cannes e quattro candidature agli Oscar nel 1962, con la statuetta assegnata per i migliori costumi di Piero Gherardi.
Uscito nel 1960 e considerato un capolavoro del visionario regista Federico Fellini, «La dolce vita» costa ottocento milioni di lire, cifra coperta interamente dagli incassi nei primi quindici giorni di proiezione per la soddisfazione del produttore iniziale Dino De Laurentiis, il quale per dare un respiro più internazionale avrebbe voluto come interprete maschile Paul Newman o Gérard Philipe, mentre Fellini spingeva per il giovane emergente Marcello Mastroianni, costringendo così il regista a dover cercare un altro produttore che però facesse anche fronte al rimborso dei settanta milioni di lire già anticipati da De Laurentiis, e così dopo diverse trattative Angelo Rizzoli e Giuseppe Amato sono i nuovi produttori.
Film emblematico della vita nella capitale nel fermento degli anni a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, «La dolce vita» è universalmente riconosciuto come uno dei più bei film della storia del cinema, anche se ha ricevuto dalla critica pareri in forte contrasto fra loro: Pasolini dichiara infatti che La dolce vita è “il più alto e più assoluto prodotto del cattolicesimo” di quegli anni, mentre il premio Pulitzer Roger Ebert sia nel 1961 che più recentemente lo considera uno dei più bei film di sempre da annoverare nella sua top 10.
Impregnato e carico di simbolismo, «La dolce vita» è ricco di riferimenti alla vita vissuta nella Roma del secondo dopoguerra, dal caso Montesi al finale che come l’inizio è un chiaro riferimento religioso all’impossibilità di toccare l’intangibile, con la creatura marina che molti hanno identificato nella figura di Cristo; «La dolce vita» è il primo film di Federico Fellini ad essere definito “felliniano”, dando vita ad un filone ideologico che influenzerà la cinematografia successiva, e non soltanto quella italiana.
Alla prima di Milano presso il Capitol, Fellini viene accusato di essere un comunista, è oggetto di fischi e addirittura sputi che fanno scalpore e portano al sequestro della pellicola per questioni di ordine pubblico; anche Mastroianni fu criticato aspramente. Il film inevitabilmente crea spaccature e dissapori anche nel mondo ecclesiastico, dove viene subito additato come blasfemo e comporta per il regista una sorta di scomunica dalla chiesa cattolica, sebbene mai formalizzata.
Anche Totò coglie questo lato “divisivo” del film, e nel suo «Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi» (M. Mattioli, 1960) domanda a Carlo, fidanzato della figlia Gabriella, durante l’incontro per chiedere la mano della ragazza, cosa ne pensi, dando vita ad un momento di complicità tra i due futuri parenti, con il suocero che confessa al genero di condividere la sua opinione positiva rispetto al film, ma di non poterlo affermare apertamente al per non contraddire la battagliera (e bellissima) moglie.
Anche se contestato e criticato «La dolce vita» resta un punto di riferimento ancora oggi per l’audacia del visionario Fellini che ci ha regalato un capolavoro che a distanza di più sessant’anni dalla sua uscita è ancora attualissimo in tema di provocazioni e per la critica ad una una società che, tutto sommato, non è cambiata più di tanto nella sua sostanza, sebbene plasmata dalla contemporaneità.
«La dolce vita» ha vinto un Oscar per i migliori costumi per film in bianco e nero attribuito a Piero Gherardi ed è stato candidato per la miglior regia a Federico Fellini, miglior sceneggiatura originale a Federico Fellini, Brunello Rondi, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, miglior scenografia per film in bianco e nero a Piero Gherardi oltre a vincere un David di Donatello per la miglior regia a Fellini, e ben tre Nastri d’Argento.