“Mare di Ruggine-la favola dell’ex Ilva“ di Antimo Casertano è uno spettacolo che lascia un segno profondo, grazie a una messa in scena intensa e toccante che ripercorre, partendo dalla storia personale, uno dei periodi più controversi della storia industriale e post industriale di Napoli.
Lo spettacolo è prodotto da Ente Teatro Cronaca, ed ha debuttato recentemente al Festival Primavera dei Teatri e vanta già alcuni premi importanti. Il testo è risultato vincitore del Premio Nuove Sensibilità 2.0 2022, si è aggiudicato il Premio Fersen, il Premio Antonio Conti di Pesaro, il Premio Speciale Felicetta Confessore – ritratti di territorio e il progetto è arrivato finalista al Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche Dante Cappelletti.
La storia ripercorre gran parte del nostro novecento e non ha ancora un vero e proprio finale. È un racconto famigliare, che viaggia in parallelo con le vicende dell’Italsider e si fonde con il racconto delle tante collettività per cui la fabbrica ha rappresentato l’unica alternativa possibile. Un viaggio tra sogni e speranze, progetti di vita e percorsi interrotti.
Incontro Antimo Casertano, poco prima dell’inizio dello spettacolo. Trovare un biglietto è impresa ardua, la richiesta da parte del pubblico è chiara, com’è chiaro il messaggio: Napoli non dimentica. La compagnia al lavoro, un lavoro fisico che coinvolge tutti, attori e maestranze.
Fuori dal botteghino, un pubblico variegato, forse stratificato ma in modo assolutamente significativo: la politica, la cultura, ma soprattutto i giovani, la società attuale, coloro che più di tutti meritano di conoscere il passato per riflettere sul presente.
D: Allora, partiamo dall’ultima notizia, cioè dagli sold out, da questo affetto del pubblico per questo spettacolo, Mare di Ruggine, la favola dell’ex Ilva. Voglio sapere la verità, te lo aspettavi?
R: No, non me l’aspettavo. Non me l’aspettavo, però sapevo che, insomma, che sarebbe in qualche modo andato bene, andato bene di pubblico, perché l’attenzione verso l’argomento, secondo me, è tanta, e non solo da parte dei bagnolesi, ma secondo me da parte proprio dei napoletani e non solo. Secondo me è un argomento che riguarda tutta l’Italia, e non solo tutta l’Italia.
Come dico, nello spettacolo anche chiunque ha avuto un parente, anche secondo me un parente o un conoscente che ha lavorato in una fabbrica, qualsiasi fabbrica, non per forza un’acciaieria, non per forza una fabbrica siderurgica, chiunque abbia avuto qualcuno, un conoscente, si rivede e si risente qualcosa in questo spettacolo. Questo non toglie, però ovviamente, anzi aggiunge un ulteriore merito, perché il pubblico napoletano generalmente è molto esigente, ma soprattutto è molto critico, e guarda anche con un certo scetticismo, soprattutto un certo tipo di teatro. Sì, sì, però infatti proprio per questo siamo ancora più contenti.
C’era un po’ il timore che potesse diventare, non dico retorica; c’erano dei rischi di critica, ma viene affrontata in maniera del tutto onesta. Ognuno di noi, a partire da me, dato che è una favola familiare, che è una favola che non è, ma è la storia della mia famiglia, tutti l’hanno affrontato mettendoci dentro un pezzo di cuore, e questo, secondo me, viene ripagato e viene fuori. Quindi anche se c’è da qualche parte un barlume di retorica in questo spettacolo, viene distrutto dall’amore, dalla passione, dalla voglia, dalla tenacia che ci abbiamo messo per metterlo in scena.
Ed è stata una grandissima conquista farlo così come l’avevo immaginato, cioè con sette attori, con una scenografia importante. Quindi siamo veramente molto contenti e contenti che questo rischio sia stato ben passato. Ecco, in qualche modo hai anticipato un po’ la mia domanda.
D: Da cosa nasce questo testo? Come ti si è avvicinato, ovviamente abbiamo capito per una questione tua personale e familiare, una tua storia personale, a questa tematica? Quindi addirittura, in maniera sicuramente sarcastica in qualche modo, hai affrontato una storia come quella dell’acciaieria che allo stesso tempo è simbolo del progresso ma anche della decadenza. Come ti si è approcciato a questo testo e come nasce?
R: Mi sono approcciato perché, come ho già detto, insomma è come si è ben capito, ampiamente capito, nasco a Bagnoli, cresco a Bagnoli, dalla mia stanzetta ogni giorno vedevo quella che era l’ex acciaglieria, quella color ruggine e quindi mi sono sempre domandato che cosa fosse quel mostro, come poi viene definito nello spettacolo. Crescendo ho capito, attraverso il racconto dei miei genitori, dei miei parenti, insomma quelli rimasti, che tutta la mia famiglia ci aveva fatto parte e quindi ho sentito fortissima l’esigenza di scriverne qualcosa.
Ma al di là di questo aspetto familiare è perché sono 30 anni da quando ero piccolo, adesso ne ho 39, da quando ho avuto coscienza, quel mostro è sempre stato lì e quindi ho avuto proprio l’esigenza di raccontare qualcosa, di cacciarlo questo mostro, di cacciarlo fuori e quindi nasce da questo, da questa esigenza qui. Poi ovviamente mi sono messo a fare ricerche, oltre ai miei parenti, ho intervistato tutti gli ex operai, sono andato spesso al circolo ILVA, ho incontrato questi ex operai che mi hanno raccontato la loro storia e quindi nasce da questo, da questa volontà di poter dire, soprattutto di poter sperare, di avere quella piccola speranza che questa storia che io provo a raccontare non venga più raccontata, che mio figlio che adesso ha 5 anni, quando avrà la mia età, potrà raccontare una storia diversa, potrà dire magari a suo figlio, a mio padre, il nonno, tuo nonno, tempo fa fece questo spettacolo, vedi qua c’era questo, adesso non c’è più, spero questo insomma.
D: anche questa contrapposizione così forte tra un elemento come il mare che ci fa pensare al bello, alla poesia, ma anche alla tempesta e allo stesso tempo poi questo mostro rugginito che ecco ci fa pensare alla decadenza.
R: Sì, guarda, mi è venuta in mente una cosa, l’altro ieri c’è questo gruppo su Facebook che si chiama Bagnoli 80124, 80124 è il cap di Bagnoli – Fuorigrotta, hanno messo la locandina dello spettacolo e sotto nei commenti, tanti dicevano andatela a vedere la nostra storia, la storia di tutti noi, andatela a vedere la storia di tutti i nostri parenti, c’era un commento che mi ha colpito, perché poi ovviamente a volte ci colpiscono di più le cose negative che quelle positive, come per esempio la sera la platea è piena, tu vedi quello che se ne va, ma non ti accorgi che su 120, 120 battono le mani, tu ti accorgi quello che va via. Vabbè, ma al di là di questo, in questo commento c’era scritto speriamo che non abbiano affrontato l’argomento demonizzando l’ilva. Questa cosa mi ha fatto riflettere, perché poi lo spettacolo è proprio questo, cioè non demonizza l’ilva, ma al contrario racconta la dicotomia tra la vita e la morte, cioè di come il cantiere, come veniva insomma chiamato, definito dagli operai, di come il cantiere abbia rappresentato la vita per questi operai, per la mia famiglia, ma per tantissime famiglie.Parliamo del periodo di boom, 8 mila operai, quindi un indotto enorme per tutta la città. Quindi come abbia rappresentato la vita, l’unica alternativa, ma poi anche l’altro aspetto, il rovescio e la medaglia, cioè la malattia, la morte, il problema ambientale, e tutto questo. Quindi c’è questo che secondo me è importante, forse per questo, perché è affrontato in questo modo, non demonizza l’ilva, la fabbrica, in un qualche modo ovviamente, poi si arriva a raccontare quello che è rappresentato, la morte, però racconta soprattutto anche la vita, la vita che ha dato a quante persone, che era l’unica possibilità, e quindi in un qualche modo si racconta anche di come il Sud, in questo caso è sempre stato bistrattato, e come questa fabbrica abbia rappresentato l’unica possibilità per questo Sud.
E quando poi è stata dismessa, gli operai hanno fatto la lotta affinché non venisse chiusa, e anche oggi, secondo me, se tu vieni a parlare con gli ex operai, e soprattutto con gli operai di Taranto, ti dicono che si fa male, ma è la nostra vita, non dovete togliercela. E quindi è questo che volevo raccontare, e a quanto pare questo lato di raccontare le cose, questo modo di raccontarlo, è tra virgolette, lo dico in maniera sempre molto senza presunzione, vincente, perché non prende posizione. La posizione, secondo me, deve poi prenderla, per come la penso io, deve poi prenderla sempre il pubblico che viene a vedere ogni sera lo spettacolo.
D: Assolutamente, avere anche una visione critica della nostra storia, che poi è una storia recente. Antimo, andiamo nel retropalco, parliamo della compagnia, com’è stata la messa in scena di questo spettacolo, e molti sono attori giovani come te, quindi fate parte di una nuova generazione di attori che però hanno già una lunga esperienza alle spalle e si cimentano in una forma teatrale, anche sperimentale da un certo punto di vista.
R: Guarda, visto che mi hai fatto questa bellissima domanda, che secondo me è più bella delle altre, perché è più bella delle altre? Perché questo spettacolo ha ragione di esistere per la compagnia, per gli attori. Perché? Perché ognuno di noi ha sposato questa causa. Non voglio, come dire, non solo per l’aspetto economico, perché guadagniamo poco, anzi quasi niente, ma perché c’è una grande volontà, è un grande amore verso questo progetto, verso il tema. E quindi tutti quanti gli attori, ma non solo gli attori, anche i tecnici, ma lo stesso direttore di scena, Antonio Chirivino, ma la stessa produzione comunque, che si è innamorata del progetto e mi ha dato una mano. Cioè è veramente un grande amore verso questo progetto. E gli attori lo hanno amato dal primo momento, a partire ovviamente dalla mia compagna, Daniela Ioia, che lo ha vissuto da quando ho iniziato a scriverlo fino all’ultimo. Poi c’è un’altra grandissima cosa, che ognuno di questi attori, di questi sette attori, compreso io, ognuno ha qualche legame con Bagnoli, con i Campi Flegrei.
C’è Gianluca Vesce, che è di Bagnoli. C’è Lucienne Perreca, che è dei Campi Flegrei. E quindi, come dire, è un argomento che sentono tantissimi.
C’è Daniela Ioia, che in quanto mia compagna, l’ha assorbito. È un po’ bagnolese, è bagnolese d’adozione.
C’è Luigi Credendino, che ha avuto il nonno, che ha lavorato all’ILVA. C’è Ciro Esposito, che è comunque in un qualche modo ai figli, che sono andati al circolo ILVA. E quindi, come dire, quel luogo lo conosce tantissimo.
C’è Francesca De Nicolais, che ha il compagno, che è stato assistente alla regia, Alfonso D’Auria, che è di Bagnoli. Lei poi, Francesca, è una combattente, è compagna. Quindi, c’è tutti e sette.
Siamo, come dire, completamente immersi in questa situazione. E quindi è stato meraviglioso lavorare con loro. Siamo una compagnia, me lo dico, meravigliosa. Non c’è mai stato un problema tra di noi. Anzi, è stato molto, sempre, affiatamento, voglia di aiutarsi. Non c’è nessuno che vuole fare le scarpe all’altro, ma anzi, è una compagnia meravigliosa.
E quindi io, perché la domanda è bellissima, perché io approfitto per ringraziarli tutti. Ma già l’ho fatto e lo faccio sempre, perché è un gruppo meraviglioso. Abbiamo lavorato, ovviamente, tanto, ma loro sono sempre stati disposti a lavorare tanto, tantissimo, a sacrificarsi.
Ogni sera si fanno il “bip” perché lo spettacolo è tosto e quando siamo andati sold out, è capitata l’occasione di fare una replica aggiunta, ci siamo guardati negli occhi, ragazzi, ce la facciamo? Sì, lo facciamo. Quindi, insomma, è questo spirito, è questa voglia, è quest’amore verso questo progetto che, secondo me, come dicevo anche prima, permette che poi un progetto diventi necessario e questo arrivi al pubblico. Questa energia che poi diventa un circolo virtuoso che poi arriva al pubblico e poi ritorna a voi che siete sul palco.
D: Antimo, in conclusione, l’importanza di questo spettacolo per le tematiche, per il testo, per tutto quello poi che ne deriva, credo sia importante portarlo anche nelle scuole. Tu cosa ne pensi? Ma guarda, io lo porterei ovunque. Se fosse per me lo porterei nelle scuole, lo porterei a… Facciamo un appello.
R: Portiamolo ovunque. Noi siamo disposti ad andare ovunque nelle scuole per confrontarci con i ragazzi, portarlo a Taranto, portarlo a Genova, portarlo a Piombino, portarlo a Milano, ovunque. Secondo me, lo dico veramente, senza alcuna forma di piaggeria, è uno spettacolo che può andare ovunque, in qualsiasi città abbia avuto, anche se una fabbrica in Italia è piena, anche a Trieste.
L’altro giorno è venuto un amico della Costumista, Pina Sorrentino, che ci tengo pure a ringraziare, a Flaviano Barbarisi, a Paco Summonte, a Paky Di Maio per le musiche, va bene, è di Trieste e mi ha detto ma sai che a Trieste c’è questa fabbrica dismessa? Perché non venite lì? Ho detto, magari. Quindi, come dire… Non lo escludiamo.
Noi siamo pronti ad andare ovunque.