Il suono quasi assordante di un aereo entra d’impatto non appena il sipario sbrindellato si apre su un palco disseminato di foglie, pareti fatiscenti, imbrattate, sulle quali crescono radici e si aprono squarci.
La vista da quel basso che si affaccia su di un vicolo decadente costellato di palazzi pericolanti offre sullo sfondo il mare e, all’interno della camera, un vecchio televisore in bianco e nero trasmette immagini… ”Il vico decade e il mare è marcio”
Peppino (Carlo Maria Todini) entra in scena ridacchiando, sfregandosi le mani, portando una scala e raccogliendo foglie da terra. Quasi come se facesse parte dell’allestimento, immobile, girato di spalle, con un velo che gli copre il viso e che terrà sulle gambe per tutto il tempo, seduto su una poltrona dotata di rotelle per renderla mobile, Totò (Roberto Del Gaudio) entra realmente in scena quando il compare lo rivolge verso il pubblico girandolo sulla sua sedia.
Stracolmo di citazioni ai due personaggi partenopei (da “E io pago” a “Ho detto tutto”), lo spettacolo non manca di fare omaggio anche al maggiore dei De Filippo, Eduardo, quando Peppino rivolgendosi agli spettatori chiede “Siete fantasmi voi? Siete fantasmi?”; una voce si solleva dal fondo della sala “Ma quali fantasmi… abbiamo pagato anche il biglietto” rigorosamente in dialetto napoletano, al quale Peppino risponde che non può sentire quelle voci dal pubblico fantasma perché – come direbbe suo fratello – quelle sono “voci di dentro”!
Antonio Capuano (testo e regia) porta in scena al Teatro Mercadante di Napoli il 16 novembre, fino al 27 dello stesso mese, “T & P, Totò e Peppino, omaggio a Samuel Beckett”, l’opera che mancava e che manca tuttora, attingendo a piene mani da una mitologica interpretazione di un testo di Beckett da parte del duo Totò e Peppino, della cui messa in scena non si hanno notizie certe.
Il teatro dell’assurdo si respira al Mercadante, a partire dalla tabella appesa sopra al sipario dove è possibile leggere “TEATRO” con la R penzolante legata al palcoscenico con una fune, che mai invadente, da vagamente l’impressione che quella scritta sia come una sorta di barchetta ormeggiata.
I due protagonisti iniziano quasi subito a battibeccare: il primo (Peppino) freneticamente sempre in movimento, con l’arteteca che gli impedisce di stare fermo e che, zoppicando per il palcoscenico, compie azioni che durano l’intero spettacolo. Il secondo (Totò) fermo sulla sua sedia, incapace di reggersi in piedi e affetto da cecità, parla dei tempi andati e spreca battute alle quali Peppino non ride (“Una volta ridevi” “Una volta tu facevi ridere”).
In questo mondo post apocalittico che Capuano ci racconta manca di tutto, dai biscotti finiti, alle medicine, alla semola che è stata sottratta loro dagli scarafaggi che fanno processione in cucina, fino alla stessa popolazione, Tutto finish ripete più volte Peppino, solo la polvere e le macerie persistono ancora. Riflettendo sulla polvere Totò, ricorda che esistono ancora almeno loro, poveri pagliacci… clown, immortali ed immutati nell’immaginario di tutti coloro che li hanno amati.
I due sembrano difatti soli al mondo, l’uno tiene compagnia all’altro, l’uno che ha bisogno della compagnia dell’altro e viceversa.
La costante del televisore acceso accompagna gli attori per tutta la durata dell’opera, alternando le immagini in silenzio con i suoni talvolta striduli come quello di un violino mal suonato, lasciando intendere quanto in disgrazia sia caduta l’umanità, svuotata sempre di più mentre paradossalmente si riempiva di futili e del tutto inutili cose.
Un’opera che scorre veloce, occupando tutto il tempo con le parole di Totò e le azioni di Peppino, dando spesso spunti di riflessione o, con risate amare iniettando la triste e cruda realtà direttamente nelle emozioni dello spettatore, instaurando un forte legame empatico con lo spettatore.
In conclusione, Peppino dopo aver scorto in lontananza col binocolo un altro essere umano – forse un bambino – non tornerà più al suono del campanello di Totò che infine torna a dormire, dopo un intenso monologo ricco di citazioni delle sue poesie reinterpretate e mescolate tra loro, rimettendo quel velo che gli copriva il capo all’apertura del sipario, mentre le luci si affievoliscono, la scenografia crolla su sé stessa, i tuoni rombano nel cielo, ed un topo enorme attraversa il palcoscenico.
La grande professionalità degli artisti si è vista anche sul finale quando, dopo essersi accertato che si fosse ripreso uno spettatore colpito da un malore, Roberto Del Gaudio ha esclamato “Non abbiamo mai fatto questo effetto!” strappando l’ultimo sorriso della serata.
Tutti gli applausi sono stati davvero ben meritati per più di un’ora di spettacolo da godere dall’inizio alla fine.