L’arte contemporanea appare oggi come la più criticata e forse incompresa tra tutte. La maggior parte delle persone è ancora legata al modo tradizionale di rappresentare la realtà su tela, e si mostra ancora restia ad accettarla. Questa diffidenza la si può addurre ai colori vividi, i quali spesso sembrano soffocare in noi la possibilità di provare emozioni, e alle “installazioni” che, proponendosi come corpi fisici e non più sotto forma d’immagini, dovrebbero toccarci da vicino e invece (eccetto alcuni casi) sembrano allontanarci sempre più dalle nostre emozioni. Ma cos’ è questa distanza che sentiamo tra noi e questo nuovo modo di creare? E come si colma?
Nella fotografia, vediamo la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto datata, 1967, metafora di una ricerca di classicità e di bellezza persi a favore del consumismo disordinato e rumoroso dell’epoca moderna. Il fastidio visivo che scaturisce dal guardare l’installazione, è dovuto al fatto che il bianco essenziale ed etereo della dea sia rovinato dall’accostamento con i colori accesi dei vestiti che appaiono, in tal modo, del tutto inutili. Cosa ci vuole dire l’artista attraverso la “Venere degli stracci”? Ci sta forse dicendo di tornare ad essere essenziali, liberi da ogni artificio nella vita come nell’arte? E soprattutto, è forse un caso che tutti questi colori siano usati per provocare fastidio nello spettatore? In quest’opera, i toni degli stracci servono a sottolineare lo stridio tra l’essenza e l’inutilità. Quindi forse, non è sbagliato credere che i colori troppo accesi e vividi disturbino in qualche modo il nostro modo di percepire e sentire le cose. Eppure, magari, è proprio questo l’obiettivo che propone la pop art.
Le opere che vedete rappresentate sono i celebri “Balloon Dogs” dell’artista statunitense Jeff Koons considerato l’artefice della deriva kitsch dell’arte pop. Qual è la prima cosa che vi viene in mente guardandoli? Potrebbe essere, per esempio, ‘mi sta prendendo in giro’; ma forse questa sarebbe la conferma del fatto che l’artista sia riuscito nel suo intento. Jeff Koons altro non è che un abile uomo d’affari che ha voluto provare al mondo che anche il cattivo gusto è arte. Tutto lo è. Ciò che rende quest’opera spiazzante, oltre al fatto che rappresenti un oggetto banale caratterizzante l’infanzia dei più, è la sua apparente mancanza di significato. In fin dei conti, da piccoli non davamo molta importanza a un palloncino, anzi, la maggior parte delle volte ci divertivamo a bucarlo, o a sciogliere le parti che lo componevano per farlo tornare lungo e manipolabile. Non si può dire insomma che guardandolo, riporti alla mente chissà quale momento felice. Eppure, ciò che rende quest’opera così interessante, è la contraddittorietà che la distingue: nonostante la fatica impiegata nel realizzarla, e la pesantezza del materiale usato (l’acciaio), appare comunque banale e leggera.
Quindi, siamo noi che non vogliamo spingerci a comprendere l’arte contemporanea? Come superare questo blocco emotivo?
È da qualche anno che molti artisti riscuotono notevole successo servendosi della musica come mezzo per far “sentire” le proprie opere d’arte; quello che potremmo chiamare “un catalizzatore di emozioni”, appunto. Uno degli esempi più recenti e più riusciti è sicuramente la mostra d’arte contemporanea tenutasi a Roma nel chiostro del Bramante nel 2019, intitolata Dream.
L’esposizione ha accolto artisti italiani e non: tra questi Mario Merz, Christian Boltanski, Bill Viola Luigi Ontani e Anish Kapoor. La mostra prevedeva un percorso che lo spettatore dovesse seguire ascoltando poesie recitate con un sottofondo di musica emozionale attraverso delle cuffie. Il progetto ha riscosso notevole successo, e ha permesso a molte opere apparentemente indecifrabili, di essere apprezzate e comprese appieno da tutti.