Home Danza E ora fai quello che ti dicono…

E ora fai quello che ti dicono…

by Simona Chiusolo

Halla Ólafsdóttir per cominciare. Islandese di nascita, svedese d’adozione. Performer e danzatrice. Sulla scena scarna, vestita di nero chiede: “And now you do what they tell ya!”. Lei farà l’opposto, brevi momenti costruiti su movimenti reiterati, lunghe canzoni a supporto. È la musica della mia vita ci dice, pezzo dopo pezzo la mette in mostra. Lo fa senza ambizione di strutturare la storia, lasciandola decomposta e inestetica. Perché è lì che la sua ricerca si muove, nei metodi lontani dalle forme prestabilite e soprattutto alla volta della creazione di esperienze condivise, concretamente e creativamente.

The Beauty and the Beast uno dei frutti della condivisione, con Amanda Apetrea. Nella rigida e oscura atmosfera rock Halla urla il suo ultimo brano a volte c’è talmente tanta bellezza in questo mondo che non posso prenderla tutta, sentitevi liberi di usarla: “Stasera voglio che dimentichiate tutte le vostre insicurezze, voglio che rigettiate qualsiasi cosa o chiunque vi abbia fatto sentire […] di non essere abbastanza, o abbastanza intelligente, o abbastanza coraggiosa o magra o che non puoi cantare abbastanza bene, o che non puoi danzare o scrivere canzoni”. Non ci saranno violini nel testo, solo rabbia diretta.

La coartefice Amanda Apetrea la Bella, o la Bestia, poco importa, femminista prima di tutto e soprattutto nelle sue performance in cui il potere deve perdere forma o quantomeno essere indagato perché è lì che la danza ritrova senso.

Si aggiungono Zoë Poluch, Nadja Hjorton, Stina Nyberg per completare e così arrivare al collettivo Samlingen. Conosciutesi alla Stockholm University of Arts, le cinque coreografe e attiviste si uniscono in sorellanza nel 2013 con la necessità d’intravedere il non detto nella storia della danza ufficiale. Samlingen sta per collezionare e incontro.

Il primo esperimento le vede creare una storia della danza alternativa – con possibile futuro annesso – negli spazi del Cullberg Ballet e con i suoi danzatori, per inventare il Museo della Danza. La prassi è quella che verrà in seguito consolidata in altri contesti, collezionare memorie personali relative alla danza, coreografia, movimento o semplicemente ricordo della storia ufficiale. L’accozzaglia di flussi di memoria, caoticamente riportata su di una linea temporale d’invenzione, la si ritrova nella performance sul muro a delimitare la scena, mentre a terra le scatole dell’archivio ancora da ordinare, tra fatti e interpretazioni e i frantumi di ricordi perduti negli oggetti di scena. Momenti solenni della storia della danza nel Sacre du printemps ad aprire la performance e nelle pose iconiche di Nijinsky su musica techno.

L’esperienza verrà ripetuta e ricontestualizzata nel 2015, adesso riportando l’attenzione sull’assenza del femminile, per scrivere la her-story. Gruppi di dieci o quindici persone identificantesi con il genere femminile chiamate a ricordare qualsiasi elemento annesso alla propria vita nella danza per ridonare la memoria al Kulturhuset, dal 1974 al XXI secolo.

Site-specific e collettivo il metodo quasi archeologico è anche polemico, attraverso la politicizzazione degli spazi e dei corpi. Samlingen propone una doppia strategia da loro stesse dichiarata femminista: osservano la memoria trasmessa nei corpi, perché è la conoscenza esperenziale ad interessare, e fanno luce sul vuoto, quello creato dall’assenza della voce femminile.

La loro non mancherà quando nell’Ottobre del 2015 verranno invitate alla conferenza sulla Post-Dance presso L’MDT di Stoccolma, proprio ad interrogare e definire la Post-Dance, di cui ne scriveranno un manifesto.

Il manoscritto, bizzarro e poetico, descrive la nuova danza come una lei, ovviamente, curiosa avventurosa e senza pregiudizi. La sorrelanza è la sua religione, l’amore per la danza la sua passione, che sia essa rituale o puro movimento. Confonde lei e inventa le storie del passato, del presente e del futuro, si definisce come una libreria che nuota.

Nell’assurdità delle parole, così come nella controversia della definizione di cosa sia effettivamente la Post-Dance, emerge la volontà delle Samlingen di sovvertire e cestinare gli stereotipi, anche nella definizione, perché questo le aiuti a diffondere il proprio credo artistico:

 

“Amiamo danzare

Vogliamo che le persone si sentano accolte

Vogliamo che le persone si sentano incluse”

 

Un sogno e una prassi per la danza, una rilettura del già detto, l’invenzione del non ancora. Una voce alta e chiara nella difesa dall’essere donna, che scappa anche dalla definizione di donna incitando ad un nuovo percorso per la danza del XXI secolo. Magari fatto di cinque coreografe,  amiche e collaboratrici, vestite di nero o al più in tuta, quella con la scritta Samlingen.

Bibliografia: 

Manuscript for Post-Dance Publication Samlingen: Amanda Apetrea, Nadja Hjorton, Stina Nyberg, Halla Olafsdottir & Zoe Poluch;

https://amandaapetrea.com/samlingen/keynote%20speakers%20at%20the%20postdance%20conference

SAMLINGEN-The-Cullberg-version:

https://cargocollective.com/nadjahjorton/SAMLINGEN-The-Cullberg-version

Halla Ólafsdóttir – “And now you do what they tell ya!”:   https://vimeo.com/10306578

 

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