Home Arte Un “inno” al tormento in Roberto ferri, Giovanni Gasparro e Nicola Samorì

Un “inno” al tormento in Roberto ferri, Giovanni Gasparro e Nicola Samorì

by Chiara Concilio

I tre celebri artisti del Giovanni Gasparro e Nicola Samorì non hanno in comune il solo fatto di esser italiani. Nonostante le differenze nello stile sono tutti accumunati da un’evidente fascinazione per l’orrido, una fascinazione che lascia anche chi guarda le loro opere perplessi e confusi. Infatti, la visione di corpi afflitti da enormi dolori fisici costringe lo spettatore ad analizzare ciò che prova e a comprendere il perché è attratto dalle proprie paure, dall’ orrore. Perché dunque siamo attratti da ciò che ci spaventa? E perché possiamo parlare addirittura di una nuova corrente artistica? Prendendo come punto di riferimento la mostra tenutasi a Bruxelles nel 2016 dall’artista Roberto Ferri, e denominata ‘Divine Decadence’ si può notare l’ossimoro dei due termini posti l’uno affianco all’altro. Qualcosa non può essere caratterizzato dal sublime e dalla caducità al tempo stesso. Per questo è possibile che con queste parole, Ferri intendesse che spesso l’estasi visiva corrisponde all’orrore, e che quindi ciò che piace al tempo stesso ripugna.

Secondo Elisa Vagni ‘in Ferri, […] non c’è bellezza senza mostruosità. […] il senso di piacere infuso dall’armonia formale viene brutalmente disturbato dalle manifestazioni dell’inquietudine umana che si mostra come deformazione fisica, in aperto contrasto con le perfette anatomie’ (La sensualità bestiale di Roberto Ferri, Gazzetta di Arkekairos, 2016). Questo è evidente nella sua rappresentazione dell’amore nell’opera ‘l’amore, la morte e il sogno’. I corpi nudi s’intrecciano e la bellezza della carne mortale emerge dal tormento della morte imminente provocata dall’ultima figura a destra del quadro.

La perfetta anatomia delle figure e l’utilizzo invadente dell’ombra rimandano alle opere di Caravaggio. Ma a questi si aggiunge il suo tocco surrealista che forza lo spettatore a scavare nel proprio inconscio e a comprendere il proprio tormento.

In modo simile le opere dell’artista Nicola Samorì sono note per le figure rappresentate nel momento del proprio dissolversi, come se venissero aspirate da una forza oscura e/o se stessi. Molte di esse sono infatti private dagli occhi quasi come a voler mostrare il lato auto-distruttivo della mente umana. Un concetto questo, che rimanda a Sigmund Freud, secondo il quale l’essere umano ambisce, desidera sin dal momento della nascita di dissolversi e morire. E che tutto il tempo in cui è in vita l’essere umano non fa altro che combattere quell’istinto a cui anela e che deve costantemente reprimere.

 

Infine, Giovanni Gasparro, anch’egli interessato nella rappresentazione dell’inquietudine umana, è ossessionato dalla ‘ripetizione’ intesa come ‘duplicità’. Anche questo termine è ricorrente nel saggio ‘the uncanny’ scritto da Freud, il quale ritiene che la visione di una cosa che si ripete più volte gioca mettendo a dura prova la razionalità della mente umana e provoca quindi una forte inquietudine nella persona.

In un’intervista a Gasparro tenuta da Michele Lasala nel 2019 per il ‘Quotidiano Culturale L’altro’, Lasala fa riferimento al fatto che nelle sue opere, vi sono delle costanti ‘come le mani che si moltiplicano, gli specchi, i volti che si sdoppiano. Ciò che li lega è proprio il fatto di raddoppiare la realtà, aumentarla. Ma è anche vero che lo specchio, come le mani o i volti, sono lo strumento attraverso cui traspare l’anima dell’uomo.’ Alla domanda, Gasparro ha risposto asserendo di essersi ispirato a delle antiche iconografie del XV secolo, ma non ha voluto approfondire l’importanza che l’inconscio ha nelle sue opere – per la maggioranza-religiose. Forse è proprio il connubio della fede con il tema ricorrente della duplicità a rendere la sua arte simile a quella di Samorì e Ferri, in quanto anch’essa può essere considerata un’istigatrice di emozioni contrastanti. Le loro opere sembrano far riemergere la musica erratica e travolgente di Wagner che secondo Nietzsche catturava le masse proprio perché era “tinta” di dolore. Secondo il filosofo, Wagner rappresentava il Dionisiaco, perché la sua musica conteneva la necessità primordiale di provar piacere provando dolore, il cosiddetto ‘Stachel der Unlust’. Ferri, Samorì, e Gasparro hanno nuovamente attinto a quest’idea, producendo però nuove sfumature che riflettono le angosce esistenziali del nostro tempo. Che loro siano consapevoli o meno, e che noi ce ne rendiamo conto o meno, va affermandosi progressivamente una corrente artistica che predilige il seguente concetto: la bellezza è orrore, la mostruosità è meraviglia

di Chiara Concilio

 

 

 

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