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”Settanta revisited”: musica, cultura e promesse (mancate) di un decennio

by Valerio Boffardi

Non è facile conoscere qualcuno che non ricordi il decennio della propria giovinezza come l’epoca d’oro. A seconda della propria età, c’è chi si rifugia nei filmati in bianco e nero di Carosello, o nelle coreografie di Grease o, ancora, negli incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg. La contesa generazionale, però, trova il suo apice nella musica. Terreno di scontro costante tra adulti e adolescenti, non c’è niente da fare: per i primi la musica è morta, per i secondi è cambiata in meglio.

Quanto è difficile, allora, riuscire a raccontare dieci anni di cultura, società, sogni, senza scadere nella facile retorica della nostalgia? Carlo Crescitelli ci prova col suo ”Settanta revisited”. E ci riesce: da un lato, parla il giovane dell’epoca, rivivendo i sogni delle esplorazioni spaziali, i miti del rock, le spinte rivoluzionarie. Dall’altro, ci riporta al presente, mostrando quante promesse sono state disilluse. Un ponte tra attualità e ricordo, di cui parliamo direttamente con l’autore.

 Il tuo libro si apre con una riflessione sul confronto generazionale. Scrivi che, quando si rivaluta il passato, si prende un abbaglio, considerando una determinata epoca come ricetta di eterna felicità. Dopo poche pagine scrivi: “gli anni settanta erano meglio”. Ci sei cascato anche tu? 

Ma no, è un gioco delle parti… lì a parlare è il vecchio rincattivito che dimora un po’ in tutti noi che c’eravamo. L’importante è tenerlo a bada.

Tu adotti uno stile molto ironico. Eppure, il lettore non può non commuoversi quando scrivi che è troppo tardi per organizzarsi la vita e troppo presto per morire, e “l’unica precauzione che rimane è quella di starci un po’ attento/a”. Credo che questo sintetizzi il modo di vivere di tutta la parte benestante del mondo, no? 

Eh sì, hai proprio ragione… volevo proprio dire questo. E tu, anzi, l’hai detto meglio di me; molto interessante, questa tua esplicitazione dello stesso concetto, ma in termini più sociologici. 

Nel capitolo sul ’75, dici che il rock stava per finire ed evolversi nel chiassoso pop-pop. Da come ci racconti la musica della tua giovinezza, essa sembra essere testimonianza di un’epoca. Cosa pensi che sia cambiato oggi nel mondo musicale? Tra quarant’anni la nostra musica potrà raccontarci?

Sicuramente vi racconterà. La musica non è che una delle espressioni dei mass media di un periodo: noi avevamo la nostra, a rappresentare la società e la cultura del nostro tempo, e voi oggi avete la vostra. Parimenti rappresentativa di voi, e che dunque allo stesso modo parlerà di voi domani. Cos’è cambiato nella musica, da allora ad oggi? Mah, forse proprio il concetto stesso di linguaggio musicale. Che per noi era cifra e riferimento stilistico, ansia sperimentale, strutturazione ben articolata anche nel rock e nella canzone d’autore; per voi invece è costruzione sincretica, sintesi etnica, estetica autoreferenziale, lanci veloci di messaggi spot, culto e cultura dell’effimero. A conti fatti, siete molto più maledetti e più decadenti di quanto non lo fossimo noi, e forse sarà per quello che diciamo sempre che non ci piacete: perché alla fine siamo invidiosi di voi.    

Non poteva mancare, nei tuoi ricordi, Raffaella Carrà, mito di tante generazioni. Cosa rappresenta questo personaggio per chi ha vissuto gli anni ’70? 

Dal punto di vista individuale maschile, Raffaella era un potente oggetto del desiderio e dell’immaginario erotico. Se non mi credi, vatti a guardare un qualunque vecchio video su YouTube, e capirai cosa voglio dire: quelle immagini, ancora oggi, trasudano sensualità a pacchi, che ti investe e stordisce a ogni ancheggiamento e scrollo della capigliatura bionda. La classe non è acqua. Dal punto di vista più strettamente estetico e musicale, invece, si trattava di un geniale progetto di domesticazione delle tendenze mainstream internazionali di quegli anni, con in aggiunta mille ammiccanti strizzatine d’occhio alla italica attualità, tali da farti sentire sempre coinvolto e vicino a quelle canzoni. Anche qui, la classe non è acqua, ma stavolta mi riferisco a quella di Gianni Boncompagni. Che, per inciso, è poi parzialmente riuscito a rifare un po’ lo stesso anche con Ambra. Ma Raffaella era un vero fenomeno mediatico e una grande icona di costume, e non la risentiresti oggi nei film di Sorrentino, se non fosse stato così. 

Ci hai raccontato i settanta e ci hai fatto divertire e sognare, ma non negarlo: il passato è stata solo una scusa per raccontarci il nostro presente. Alla fine di ogni capitolo, apri delle parentesi in cui evidenzi le contraddizioni della nostra società, quasi a sottolineare le promesse infrante dall’epoca di cui parli, fino ai giorni nostri. Non c’è scampo per nessuno: europeisti, politici di destra e sinistra, intellettualoidi, borghesi, giovani e vecchi. Le parolacce, opportunamente coperte da crocette, abbondano. Da dove nasce tutta questa rabbia? Se dovessi rivolgere un rimprovero anche a te stesso, in quale categoria ti inseriresti tra quelle a cui fai riferimento nelle tue simpatiche parentesi?

Bella domanda. Io stesso sono un po’ il prodotto e la sintesi di tutto quello che prendo a male parole. Da allora in poi, ho attraversato le ere del marketing, della reaganomics, della Milano da bere, dell’informatizzazione e del digitale, della cultura progressista illuminata, del neoliberismo, del populismo, dei ripetuti riflussi di ognuna di esse… fallendo clamorosamente comunque. Dopo di che, mi sono rotto definitivamente i xoxlioni. Normale quindi che sia incazzato, ora che mi ritrovo fuori dal mondo. Perché forse una bella parte di responsabilità in questo macello la mia generazione ce l’ha.

 Ci dobbiamo aspettare un ottanta revisited? 

Ma neppure per idea. Gli Ottanta, per ispirazione e vicende, sotto molti aspetti sono già l’oggi. Non c’è niente da raccontare quindi, basta affacciarsi alla finestra. 

Scegli un disco e un film che possano rappresentare al meglio gli anni settanta.

Ed eccola qua, la classica domanda da un milione di dollari, quella che ti mette in difficoltà… ma non mi tiro indietro. Album: ”Live in Japan” dei Deep Purple. Avrei potuto nominarne molti altri, nel libro ne sono citati davvero tanti, ma… visto che posso indicarne uno solo, vada per questo: ha quel profilo sporco, urlato, rumoroso e grezzo che te lo fa subito classificare nei seventies, per l’organo Hammond che strepita, il solo di batteria interminabile come usava allora, l’ugola pazza, la chitarra pure, e poi il tutto come attaccato collo sputo e sparato a mille dagli ampli a valvole, che a ogni minuto che passa sembra essere lì lì per cascare su se stesso e invece miracolosamente prosegue… cosa vuoi che ti dica, trasmette pari pari l’emozione com’era. Film: nel libro ne compaiono alcuni, qualcuno anche importante: Star Wars, La Febbre del Sabato Sera, Senza Buccia, Suspiria, Moonraker, Cannibal Holocaust… Ma invece è una semisconosciuta pellicola di nicchia francese che voglio portare all’attenzione: La Vallée di Barbet Schroeder. Nella sostanza, è un polpettone freak che racconta l’avventurosa spedizione di alcuni giovani hippie nelle foreste della Nuova Guinea. I ragazzi vogliono raggiungere una comunità della quale hanno sentito parlare come di una leggenda: una mitica tribù primitiva che vive isolata in una remota e quasi inaccessibile valle incastonata tra le montagne. L’intento dei giovani è quello di coronare il loro sogno di una vita alternativa perfetta, stabilendosi tra i pacifici nativi; ma, come in ogni storia che si rispetti, quando finalmente giungono a destinazione… se il film non l’avranno visto in molti, la sua bella colonna sonora invece è parecchio più conosciuta, visto che fu affidata ai Pink Floyd, che la pubblicarono nel loro album ”Obscured by Clouds”.

Sfido, dopo aver letto il libro di Carlo, a non fiondarsi su You Tube per ascoltare la Premiata Forneria Marconi, o Lou Reed. Oppure -chissà, forse l’autore preferirebbe così- possiamo cercare reperti tra le vecchie bancarelle di vinili. Ma, che si scelga l’una o l’altra strada, la lettura di questo libro un effetto ce l’avrà di sicuro, quella di volerci far viaggiare nel tempo.

 

 

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