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Talk to me: Amleto De Silva, David Bowie e le serie TV

by Marina Indulgenza

<<“The man who fell the earth” è uno dei film più brutti della storia del cinema>>.

Parola di Amleto De Silva. Prendete e portate a casa.

Fatto sta che Amleto è così, dice quello che pensa senza filtri con la libertà di chi è consapevole di avere competenza sull’oggetto della discussione.

Che sia narrativa, poesia, musica, cinema o serie tv.

E proprio su queste ultime Amleto ha una rubrica su TVZap, la social tv guide di Kataweb, in cui pubblica periodicamente le sue personali recensioni, con un occhio “spudoratamente di riguardo” alle produzioni inglesi e scandinave.

Non è un caso, quindi, che sia stato il protagonista – nell’ambito della rassegna “I Racconti del Contemporaneo” – del talk che si è tenuto lo scorso 20 febbraio a Palazzo Fruscione, a Salerno, dove fino a giovedì 27 sarà ospitata “Stardust Bowie by Sukita”, una retrospettiva dedicata al quarantennale rapporto professionale e personale tra David Bowie, una delle più importanti icone della cultura popolare contemporanea, e il maestro della fotografia giapponese Masayoshi Sukita, probabilmente il più importante fotografo col quale Bowie abbia mai lavorato.

Argomento della conversazione, moderata da Francesca Salemme, è la notizia che la CBS – l’emittente, per intenderci, che ha trasmesso Star Trek e X Files – ha deciso di produrre una serie tv tratta da “The man who fell the earth” (“L’uomo che cadde sulla terra”), il romanzo di Walter Trevis che ha ispirato l’omonimo film diretto da Nicolas Roeg nel 1976 e che ha visto l’esordio di David Bowie sul grande schermo.

Più che una notizia, un vero e proprio pretesto per addentrarsi nell’universo delle fiction ma, soprattutto, aprirsi a un interrogativo: che cosa significa essere capaci di incidere sulla serialità?

Significa che una serie tv, diretta pronipote del romanzo d’appendice del XXIX secolo (anche in quel contesto si lavorava sulla serialità), se è eccellente – che sia essa un “medical drama”, una “sit com”, uno “sword and sorcery” – tende, inevitabilmente, a condizionare la nostra estetica.

Significa che ci affezioniamo a personaggi credibili anche quando questa credibilità non ha, in sé, un’accezione “positiva” – come l’idiozia genuina di Charlotte York di “Sex and the City” – o perché, molto più semplicemente, ci ricordano qualche nostro idolo (alzi la mano chi non ha visto in Raylan Givens, lo sceriffo di “Justified”, un Clint Eastwood in chiave contemporanea).

Significa che riusciamo ad affiancarci a personalità poco strutturate, piuttosto che a quelle di maggiore complessità: uno su tutti, Frank Underwood di “House of Cards”.

Significa, infine, come ha ribadito Amleto, che poco importa se la nostra formazione comprende anche un nutrito numero di telenovelas made in America Latina o soap opera d’annata (e qui scatta in sotofondo “This is the time” di Billy Joel, la sigla di “Sentieri”). Il fatto è che quando si è educati e si pratica la bellezza, ci si può anche sporcare le mani di fango.

Sì, ma David Bowie? Lo ritroviamo in “Dream on”, una delle prime sit com prodotte da Jonh Landis, in cui fa la parte di un aristocratico regista inglese e, come tributo, in “Life on Mars”, una serie della BBC del 2006 in cui un investigatore viene investito da un’auto nel 2006 e si trova catapultato nel 1973.

Il talk con Amleto De Silva ha concluso gli incontri de “Le parole Illuminate”, che ha accompagnato il ciclo di eventi collaterali della mostra.

I prossimi – e ultimi – appuntamenti sono domenica 23 febbraio, alle ore 19.00, con il film “Miriam si sveglia a Mezzanotte di Tony Scott (1983) e mercoledì 26 febbraio, alle ore 20.00, con BO.UI. (72 – 77) , una performance tra musica e teatro di e con Rocco Ancarola.

*la foto di copertina è di Fabio Di Donna

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