Il festival del cuore, tra musica e show
C’è chi lo ama e chi lo odia, chi vorrebbe più musica e meno fronzoli, chi puntualmente critica il presentatore di turno e le vallette, ma la verità è che Sanremo fa parte della memoria individuale e collettiva di ogni italiano da almeno quattro generazioni.
La mia esperienza è quella di una speaker radiofonica di un’emittente regionale che arriva nella città dei fiori dopo anni di gavetta. Ci sono stata per tre anni consecutivi tra il 2017 e il 2019 per raccontare agli ascoltatori quello che vedevo, ciò che accadeva anche al di là della gara canora, che tuttavia è sempre stata il fulcro della mia narrazione.
Ci si prepara mesi prima, quando vengono resi noti i nomi dei partecipanti, sia big che giovani: si inizia a fare un lavoro di ricerca, fondamentale soprattutto per gli artisti che si conoscono meno, per arrivare alla kermesse preparati soprattutto in vista delle conferenze stampa che si susseguono durante le giornate del Festival. Bisogna essere sempre sul pezzo, seguire i comunicati che escono in continuazione, preparare i collegamenti in diretta, le telefoniche, scrivere qualche post e rispondere agli ascoltatori. E’ il lavoro più bello del mondo, almeno per me, radiofonica da sempre, festivaliera per vocazione.
Sanremo per molti versi mi ricorda Sorrento, sia per la morfologia del territorio che per l’architettura della città: il porto, il mare, i palazzi eleganti, il corso principale, il lungomare con le caratteristiche palme che accompagna la ferrovia, il mare d’inverno che non è solo un film in bianco e nero visto alla tv ma uno spettacolo suggestivo e romantico, cammini lungo quel lastricato di marmo e pensi alle tante storie d’amore che si sono incrociate proprio lungo quelle strade, quelle nate sotto la buona stella festivaliera e quelle finite, ma anche storie tragiche come il suicidio inspiegabile di Luigi Tenco nel 1967. La città per l’occasione si veste a festa, le vetrine di tutti i negozi hanno un rimando alla musica, anche la ferramenta ha una nota musicale in vetrina fatta di chiodi e bulloni…Sanremo è anche questo, il costume italiano a metà strada tra un certo perbenismo borghese e le notti trasgressive, le feste al Victory Morgana Bay per i nottambuli incalliti e i vip che tirano l’alba.
I cronisti invece li riconosci subito, hanno il pass per la sala stampa Rai in bella mostra (io ero nella Lucio Dalla al Palafiori, dedicata alla stampa e media locali) e qualsiasi altro pass sia possibile ottenere, l’aria stressata perché stare al passo con i ritmi serrati della giornata è faticoso, il telefono che squilla in continuazione, mentre cercano di intervistare i cantanti in gara, che in quei giorni sono introvabili/intoccabili/inarrivabili, protetti e nascosti al mondo dai loro accompagnatori delle case discografiche. I cronisti hanno sonno, tanto sonno, le serate finiscono molto tardi e la mattina bisogna alzarsi presto. Da quando sono state varate le norme anti-terrorismo anche girare in città nei giorni del festival è più difficile, tra posti di blocco, metal detector e le forze dell’ordine che ti fanno aprire borse e zaini….e si sa, se la borsa di una donna è piena all’inverosimile, figuriamoci quella della cronista. E poi c’è il circo, quello che si vede nelle trasmissioni pomeridiane…i vip che fanno passerella, i sosia di Liz Taylor e Pavarotti…ma anche tanti artisti di strada che tentano la sorte, magari qualcuno ascoltandoli si avvicina e da lì può partire il sogno. Mi sono fermata spesso ad ascoltarli e una volta mi sono lanciata in un duetto con un ragazzo con la chitarra. L’euforia si taglia a fette così come la competizione tra le radio locali che durante le conferenze stampa si contendono il microfono per una domanda all’artista. Ma in questo senso il Festival è anche un grande momento di confronto e crescita, un’occasione per rubare il mestiere ai grandi giornalisti e ai critici musicali che si incontrano nell’hub di Casa Sanremo durante gli eventi collaterali, o semplicemente mentre sorseggiano un caffè in un bar del centro.
Poi c’è la pietra nera dell’intera manifestazione, il Teatro Ariston. Un gioiellino. Una struttura che ha mantenuto l’architettura originaria, deliziosamente retrò, dolcemente nostalgica, si varca la soglia e si resta sospesi nel tempo. Le signore sfidano il freddo indossando abiti da sera e sandali con tacchi altissimi, rigorosamente senza calze, avvolte in grandi sciarponi e stole di pelliccia, sotto gli occhi invidiosi dei passanti e del pubblico che affolla le transenne che delimitano il red carpet. Il teatro non è grandissimo, è pur sempre il cineteatro di una piccola città che diventa enorme grazie al lavoro degli scenografi e delle maestranze RAI che fanno miracoli.
Per chi, come la sottoscritta, vive sognando la radio e sogna vivendo la radio (quando si può), Sanremo è un traguardo e un punto di partenza allo stesso tempo, un mondo da guardare come un bambino guarda un luna park, il luogo ideale per mettersi alla prova ed esprimere le proprie passioni. Ho conosciuto colleghi con cui ho collaborato successivamente, ho ospitato personaggi interessanti e sono stata ospite a mia volta, insomma, Sanremo è anche opportunità da cogliere al volo, una settimana a focaccia ligure e sardenaira (focaccia tipica di Sanremo, ndr) e viaggi di ritorno con gli occhi che brillano ed il cuore ricolmo di gratitudine e immensa gioia.